INTERVISTA A ELISABETTA TRIPODI

UN TOCCO DI LEGACY

Lasciare un’impronta positiva del nostro passaggio sulla terra è qualcosa che è nelle possibilità di ciascuno di noi.

Chiunque lo voglia davvero, nel suo campo, nel suo ambiente e con i mezzi che ha a disposizione, può fare la differenza nella vita degli altri. Noi di Ziglar Italia crediamo fermamente in questa possibilità e assistiamo quotidianamente a esempi concreti di ciò che chiamiamo “Legacy”, un lascito morale alla maniera in cui intendeva Zig Ziglar.

E’ qualcosa di più del semplice “fare del bene agli altri” o “fare bene qualcosa”. Si tratta di compiere delle azioni che hanno una portata potenziale che va oltre l’ambito in cui si sono concretizzate. In molti casi gli effetti migliori saranno sulle generazioni a venire. Non è importante quanto grandi siano questi atti, è importante l’impatto che avranno. A volte, in effetti, può trattarsi di piccoli gesti quotidiani o di decisioni all’apparenza semplici.

Ci sono persone che, per scelta deliberata o vicissitudini della vita, si ritrovano a ispirare grandi platee, addirittura popolazioni intere (Gandhi, Martin Luther King).

Ce ne sono altre che agiscono in un piccolo campo e finiscono con l’influenzare molte più vite di quanto immaginino, quasi senza accorgersene.

Questo spazio è dedicato a farvi scoprire in quante forme e modi può realizzarsi questa Legacy, con l’auspicio che ciascuno si senta motivato a giocare la propria partita.

Un sindaco contro la Mafia

Rosarno, Calabria. Paese rurale di 16mila abitanti, il Comune sciolto per infiltrazioni mafiose nel 2008, passato alla cronaca nel gennaio 2010 per via della rivolta degli immigrati sfruttati dal caporalato.

Lei è Elisabetta Tripodi, con impiego pubblico di segretario comunale, un marito e due figli, dopo anni di studio e lavoro nel Nord Italia, decide di rientrare nel suo paese, Rosarno, e di mettersi in gioco. Eletta sindaco nel 2011 resterà in carica per 4 anni e mezzo cambiando il modo di amministrare la cosa pubblica in questa parte d’Italia. Subirà minacce e sarà costretta a vivere sotto scorta per tutti gli anni del suo mandato ma lascerà un segno e un grande esempio.

Elisabetta ed io

La conosco da anni perché è la mia vicina di ombrellone nel mese di agosto. Più o meno una coetanea, una mamma, un’amministratrice locale. Eppure, ogni volta che la incontro, mi si staglia nella mente sempre e solo una cosa: quel paginone del Financial Times del 4 febbraio 2014 con la sua immagine stilizzata e il titolo che dice “A mayor versus the mafia” (trad. “un sindaco contro la mafia”).

Per le sue battaglie Elisabetta Tripodi è diventata un simbolo della lotta alla mafia insieme ad altre sindache della Calabria. Si è messa di traverso al potere delle cosche criminali e ha rischiato la vita nella lotta alla ‘ndrangheta. Parliamo di Rosarno, 16 mila abitanti, paese rurale, il Comune sciolto per infiltrazioni mafiose nel 2008, passato alla cronaca nel gennaio 2010 per via della rivolta degli immigrati sfruttati dal caporalato.

Elisabetta, originaria di Rosarno, un marito e due figli, aveva un impiego pubblico di segretario comunale. Dopo anni di studio e lavoro nel Nord Italia era rientrata nel suo paese da qualche anno quando un giorno decise di mettersi in gioco in un ambiente dove praticamente nessuna donna aveva mai osato pensare di entrare in politica. Eletta sindaco nel 2011 resterà in carica per 4 anni e mezzo cambierà il modo di amministrare la cosa pubblica in questa parte d’Italia. Subirà minacce e sarà costretta a vivere sotto scorta per tutti gli anni del suo mandato ma lascerà un segno del suo passaggio.

Oggi è passata ad un altro incarico, meno visibile ma altrettanto scomodo, e continua il suo impegno su scala nazionale per la sensibilizzazione alla legalità.

Conosco la sua storia e i sacrifici che ha fatto con la sua famiglia per dare dei piccoli grandi segnali in un contesto in cui nulla sembra mai poter cambiare.

Oggi la incontro per conto di Ziglar Italia e le chiedo alcune cose che mi stanno a cuore.

Con il tuo lavoro da “burocrate” sei stata quasi rivoluzionaria. Come si fa a lasciare un segno? Quali sono le cose di cui sei più fiera della tua esperienza come sindaco?

Volevo fornire un esempio alle giovani generazioni, soprattutto al femminile, far capire che ci si può impegnare. Prima della legge che impone le quote non c’erano donne nella nostra amministrazione comunale.

Di cosa vado fiera? Di aver portato finanziamenti europei per 30 milioni di euro che sono andati in opere pubbliche effettivamente realizzate, di aver introdotto la raccolta differenziata dei rifiuti, innovato tecnologicamente e lavorato per un rilancio culturale, ad esempio introducendo la banda musicale, organizzando eventi e prevedendo più tempo a scuola.

Poi purtroppo molte di queste novità sono state smantellate.

Le imprese che tu hai compiuto sono “da leader”?

Mi è stato riconosciuto il coraggio ma in realtà io ho semplicemente fatto quello che un sindaco doveva fare. Bisogna avere una visione, questo sì, o comunque un certo atteggiamento interiore. Io ho sempre combattuto per fare le cose come andrebbero fatte. A me fa rabbia il piattume, limitarsi al dovuto, non avere amore ed entusiasmo per quello che si fa, anche la cosa più banale.

Penso che questo mi venga dall’educazione paterna.

Noi di Ziglar Italia crediamo nel fatto che ognuno di noi può virtualmente creare il suo “lascito morale” nel mondo. Tu in che cosa credi e che cosa ti da speranza?

Credo nell’onestà. E credo nel bene pubblico che deve essere a disposizione di tutti.

Quali sono stati i momenti difficili? 

I miei figli hanno fatto molta fatica ad accettare l’immagine pubblica della mamma. La nostra libertà aveva molte limitazioni.

Mio marito ha sofferto molto, soprattutto quando sono stata attaccata per via dell’invidia che suscitava la mia visibilità. Per un periodo abbiamo dato risonanza a una Calabria che reagiva. Questo ha chiamato la stampa nazionale e internazionale, francese, olandese, spagnola, maltese, perfino cinese! Nei momenti in cui alcuni rapporti umani sono saltati e siamo stati delusi da tante persone che avevamo vicine lui ha ceduto all’amarezza e ha sofferto, penso più di me. Lui però mi ha sempre sostenuto tantissimo, mi ha dato coraggio ad andare avanti e mi ha reso possibile il quotidiano. Nella fase finale in cui ero stanca lui mi ha spinta a tenere duro e a resistere.

Nei momenti difficili, quelli brutti, che cosa ti dicevi?

Mi mandava avanti l’istinto di testardaggine, non volerla dare vinta, non voler mollare. Mollare sarebbe stato una sconfitta. Non mi piace arrendermi.

Questo mi ha mandato avanti: semplicemente il rifiuto di mollare, l’istinto di tenere duro.

E poi la forza interiore. Pregavo molto, dicevo “dammi la forza per continuare”.

A che cosa pensi ora?

Vedo scoraggiamento in molti sindaci di piccoli centri. Fare l’amministratore è difficilissimo e frustrante. Molti vincoli, molte responsabilità, poche risorse e strumenti. Questo demotiva. L’effetto è che sempre meno gente si presenta a fare l’amministratore e rischiamo che restino in ballo solo gli arrivisti. Ci sono tante storie non conosciute. Bisogna raccontarle! E poi bisogna anche insegnare come fare bene questo mestiere, come fanno ad esempio all’Università di Pavia dove c’è una scuola di pragmatica politica.

Bé, tu in questa scuola dovresti tenere il tuo laboratorio di pratica e dare testimonianza!

Mi stai dicendo che dovrei fare il motivatore di amministratori locali?

Il mio suggerimento la fa riflettere… e penso “wow! Magari oggi nasce un motivatore di buona politica!”

Riflessione Ziglar

La testimonianza di Elisabetta Tripodi è interessante perché lei, in modo del tutto inconsapevole, ha concretizzato questi principi Ziglar:

  • avere nella nostra vita qualcuno che crede in noi e ci incoraggia;
  • la “coerenza persistente” come valore chiave (Persistence Consistency)
  • fai sempre un po’ più di quel che devi (BAAM!)